Considerato come regione storica, il Cadore coincide con l’alto bacino del Piave: un territorio completamente montuoso, con una superficie di 1.427,22 kmq, famoso per le sue bellezze naturalistiche riconosciute in tutto il mondo.
L’etimologia della parola Cadore, di origine preromana come afferma il Pellegrini, deriverebbe dal celtico Catu (battaglia) Brigum (roccaforte, altura).
Le diverse particolarità, maturate nel corso di una storia millenaria, hanno consentito l’accrescimento di diversificate attività artigianali, sociali e artistiche che trovano la loro valorizzazione nelle varie strutture museali del Cadore.
A trent’anni dalla straordinaria scoperta del sito preistorico di Mondeval de Sora, nel territorio di San Vito di Cadore, avvenuta grazie all’intuito e all’attività di ricerca dello studioso autodidatta Vittorino Cazzetta, la raccolta che il Museo espone rappresenta per il territorio cadorino una straordinaria ricchezza in ambito preistorico.
La collezione di reperti del MARC, attualmente oltre 3000, sono il risultato delle campagne di scavo avvenute presso i siti del Cadore Centrale nel corso del XX secolo.
Il nucleo più importante di reperti proviene da Làgole (Calalzo di Cadore) dove tra il 1949 e il 1952 è stata scoperta una stipe votiva con rilevanti reperti figurati con iscrizioni venetiche e latine. La notizia di questi ritrivamenti ha avuto ampia risonanza nel mondo scientifico interessando studiosi di archeologia, glottologia, filologia e storia delle principali università europee e americane.
Molti di questi reperti si legano alla proprietà medicamentosa dell’acqua della località cadorina da cui poi venivano create le iscrizioni dedicate alla divinità locale Tribusiatu / Trumusiati, spesso definita sainati. Tra le offerte piů ricorrenti si annoverano i simpula, mestoli in bronzo usati per libagioni o per il consumo dell’acqua. Altri tipi di reperti, come alcune lamine bronzee con la raffigurazione di un cavallo, testimoniano il ruolo e la posizione sociale degli offerenti.
Significative sono anche una serie di statuette miniaturistiche di guerrieri che sottolineano l’importanza strategica a nordest della via di percorrenza lungo il Piave. Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso il museo si arricchì delle molte scoperte avvenute nel territorio di Valle, nel sito di un insediamento più volte oggetto di indagini archeologiche, su un importante crocevia per la viabilità locale: tra i materiali di ambiente venetico, databili tra il V e il IV sec. a.C. si segnalano una situla bronzea con dedica votiva, vasche e manici di simpula, che testimoniano la presenza di un’area sacra, purtroppo non ancora sufficientemente indagata.
Sempre nel territorio di Valle sono state scoperte strutture di tre complessi rustici di età romana, in due dei quali è stata riportata alla luce la parte residenziale con ambienti mosaicati e decorazioni pittoriche parietali.
Oggi la casa-museo di Tiziano, che vi abitò in gioventù, prima di trasferirsi a Venezia per apprendere larte del dipingere, ospita al suo interno una raccolta di riproduzioni a colori con le opere del Maestro, realizzate dalla ditta Alinari di Firenze negli anni Trenta e esposti in occasione dell’inaugurazione dell’agosto 1932. Nella casa si conservano anche una serie di cimeli di varia provenienza e alcune riproduzioni di testi relativi al Maestro.
Per avvicinarsi alle opere del maestro, nella cappella ubicata all’interno della chiesa arcidiaconale è custodita una tela a soggetto devozionale, dove, sulla sinistra, appare l’autoritratto dell’autore.
Nello stesso edificio religioso si conservano una serie di opere della bottega dei Vecellio, tra i quali un’Ultima Cena, recentemente attribuita a Marco Vecellio, le porte d’organo con la rappresentazione dei Santi Paolo e Pietro e l’Annunciazione di Cesare Vecellio, e una pala d’altare con i Santi Rocco e Sebastiano opera del fratello di Tiziano, Francesco Vecellio.
Il pittore conservò inoltre un legame molto stretto con la Magnifica Comunità di Cadore, istituzione con la quale intrattenne rapporti di lavoro, soprattutto in qualità di rappresentante cadorino presso la Serenissima. Oltre al prezioso patrimonio archivistico conservato presso il Palazzo della Magnifica Comunità, costituito da un antico e cospicuo fondo documentario (atti e pergamene dal XIII al XIX secolo), l’Ente custodisce una biblioteca moderna, che raccoglie studi e ricerche sulla storia del Cadore, nonché una biblioteca specialistica dedicata a Tiziano.
La raccolta annovera periodici, miscellanee, opere critiche e contributi tutti pertinenti all’opera del grande pittore, alla sua vita, al suo tempo e alla sua cerchia. Alla biblioteca appartiene anche un fondo di stampe e documenti che conserva corrispondenza del pittore e altri manoscritti che documentano la vivace attività mercantile dell’intero casato Vecellio.
Il Museo ospita una ricca raccolta di reperti che consente al visitatore di intraprendere un percorso temporale attorno alla storia della montagna cadorina e dolomitica, nei suoi aspetti geologici, paleontologici, botanici e zoologici e quelli archeologici di cui anche nel comune di Auronzo, in questi anni, sono venuti alla luce numerose testimonianze di epoca romana e pre-romana.
Al primo piano ha trovato posto l’ampia serie stratigrafica che illustra la formazione delle rocce dolomitiche e che si integra con i reperti relativi alle tematiche sull’acqua e sul suolo. Alcune sezioni sono totalmente dedicate agli ambienti del bosco e dell’alta montagna, caratterizzati dalla presenza di specifici animali e piante. In questi spazi sono stati messi in mostra esemplari di animali impagliati, come l’aquila, il gufo, la volpe, caprioli, vipere e numerosi insetti il cui ambiente naturale è documentato dalla riproduzione fotografica di prati, boschi, sottoboschi ecc. con i tipici fiori e le piante e erbe più peculiari.
Al secondo piano è raccolta una buona parte dei reperti archeologici provenienti dagli scavi di alcuni siti locali e soprattutto da quello di Monte Calvario, dove è venuto alla luce un santuario, adibito ad un uso presumibilmente militare, frequentato a partire dal II secolo d.C. Sono stati rinvenuti durante gli scavi lamine a “pelle di bue”, simpula con manici con iscrizioni, una piccola ara sacrificale in tufo, ganci e anelli di sospensione, una statuetta in bronzo e due dischi in bronzo cesellati e iscritti.
I resti del Calvario e la sua posizione così a nord suggeriscono la presenza di un’importante via di transito per valicare le Alpi. Nel sottotetto di Palazzo Corte Metto, infine, sono esposti numerosi minerali di origine locale e extraeuropea che consentono di fornire informazione sui processi di mineralizzazione e documentano lo sfruttamento locale di miniere soprattutto di zinco, piombo e blenda.
Non un museo, ma uno spazio culturale, così è stato pensato e voluto alcuni anni fa Algudnei. L’associazione Gruppo ricerche culturali Comelico Superiore, che gestisce lo Spazio, ha raccolto in 30 di attività un ricco patrimonio di oggetti, filmati, documenti cartacei e fotografie di interesse locale, che solo in parte sono stati esposti nell’allestimento della Casa della regola di Dosoledo, sede del Gruppo e di Algudnei.
I sei temi, intorno ai quali ruota il percorso di visita, sono il Carnevale, l’Istituzione regoliera, il Rifabbrico la prima guerra mondiale in Comelico, il Ladino e i Clonpar. Nella prima sezione hanno trovato spazio una sequenza di volti lignei caratteristici del carnevale comelicese, che ben testimoniano una tradizione e abilità artigianale, quella legata alla lavorazione del legno, ancora viva. Suggestivi e di forte impatto visivo sono le figure a grandezza naturale che documentano le maschere connotanti il carnevale comelicese, che si tiene annualmente a Dosoledo: il Pagliaccio, il Lacché e il Matazin, la copia da vecio e da bèla. Vestono abiti colorati e volti lignei di particolare carica espressiva.
La narrazione storica e contemporanea del momento festivo è affidata a grandi fotografie alle pareti e a proiezione di filmati. Il percorso prosegue con un racconto cronologico di quelli che sono stati individuati come gli avvenimenti più importanti nella storia plurisecolare della comunità comelicese, affidando ancora una volta a fotografie, filmati e mappe il focus su particolari tematiche: l’organizzazione fondiaria del territorio, l’organizzazione sociale, urbanistica e architettura.
La quarta sezione ricorda la Prima Guerra Mondiale in Comelico. Presenta lo spessore del fronte che comprende Comelico Superiore, Sesto Pusteria e la valle del Gail (Austria), una mappa illustra il territorio all’inizio del 900 e riporta le infrastrutture create dai militari. Pannelli bilingue raccontano le operazioni di guerra e filmati documentano lo stato della popolazione.
Le ultime due sezioni sono state recentemente inaugurate e rappresentano i Clonpar (stagnini) e il Ladino. Lo stagnino: il lavoro svolto fino al secolo scorso da centinaia di comelicesi che hanno percorso l’Italia e l’Europa nell’esercizio della loro attività. Gigantografie, piccoli attrezzi e filmati ne raccontano la storia. Ed infine il Ladino, lingua madre della valle, trova in questa sezione la sua espressione più completa, declinata nella diverse versioni di ogni paese. Il visitatore potrà ascoltare e leggere i testi ladini inseriti nei filmati e nei tablet.
Il nucleo più importante della ricca ed eterogenea collezione esposta al Museo etnografico in borgata Cima Sappada si deve a Giuseppe Fontana, maestro e appassionato di storia ed etnografia locale, che a partire dagli anni ‘60 del Novecento iniziò a raccogliere oggetti di cultura popolare allo scopo di testimoniare un mondo e uno stile di vita che stavano cambiando.
La prima esposizione del 1972, ad opera e per volontà dello stesso Fontana costituisce il nucleo del museo che, tra i primi del suo genere in provincia di Belluno, venne a lui intitolato alla sua morte nel 1975. Da allora la collezione è andata continuamente arricchendosi di nuovi oggetti e con la creazione di una sezione naturalistico-geologica, nello spirito di informare i visitatori del contesto ambientale nel quale si è insediata la comunità germanofona di Sappada/Plodn.
La presenza di boschi e quindi l’abbondanza di legno hanno permesso lo sviluppo di una cultura del legno, che trova testimonianza lungo il percorso di visita. La narrazione etnografica prende l’avvio con la presentazione della storia e dell’architettura locale, dove l’utilizzo del legno risulta prevalente su ogni altro materiale. Proseguendo si può vedere la ricostruzione dei vari ambienti della casa sappadina, arredati con mobilia e suppellettili che coprono un arco di tempo che va dalla fine dell’Ottocento fino a poco oltre la metà del secolo successivo.
Non mancano anche capi di abbigliamento maschili e femminili e biancheria per la casa, un tempo conservata in bei bauli decorati. Ampio spazio è dedicato ai mestieri tradizionali e alle attività boschive, agricole e dell’allevamento, fondamentali per la sussistenza, anche se poco redditizie a causa delle dure e talvolta estreme condizioni climatiche. Slitte, aratri , cesti, zappe, rastrelli, secchi e sgabelli per la mungitura raccontano di una attività quotidiane nei boschi, sui campi e in stalla. Si susseguono nell’esposizione gli strumenti del carradore, del fabbro, del falegname, del calzolaio e del tessitore. Al centro del percorso si trova la collezione di oggetti e arredi sacri anche di natura popolare che documentano la religiosità dei sappadini e i rapporti con le terre confinanti tirolesi-carinziane e della Carnia. Concludono la visita le maschere in legno del Carnevale sappadino (vosenňcht), tradizione ancora viva, tra cui spicca l’austera figura del Rollate.
La collezione museale è costituita da un repertorio oggettuale che ben documenta la cultura materiale locale del piccolo paese di Zoppé di Cadore e delle vallate cadorina e zoldana. Attraverso strumenti e attrezzi di lavoro e oggetti di uso quotidiano sono illustrate le più consuete attività lavorative, artigianali e agro-silvo-pastorali, del territorio praticate fino alla metà del XX secolo.
Si tratta soprattutto di oggetti in legno e in ferro, spesso di produzione locale a testimonianza anche di una notevole maestria e conoscenza artigianale diffusa.
Tra i mestieri ai quali il Museo dà particolare attenzione ci sono quelli legati allo sfruttamento del bosco, sia in termini di luogo per il prelievo di legno da ardere e legname da opera sia per la produzione e quindi commercializzazione del carbone.
In questi anni alla raccolta di testimonianze materiali e filmico-fotografica dedicate a questa peculiare attività della montagna è andata affiancandosi anche un’importante attività di animazione e scambio con gruppi e associazioni italiani ed europei che operano nel medesimo campo di interesse.
Il Museo della latteria è stato riallestito nel 2010 e aperto per la prima volta al pubblico nel 2001.
L’esposizione è ospitata nella ex sede della Latteria di Lozzo di Cadore un edificio dei primi anni Sessanta, appositamente costruito dai soci della società agricola.
Il percorso di visita si articola in quattro sale principali nelle, quali oltre a numerose immagini, filmati e riproduzione di documenti d’archivio sono messi in mostra la raccolta gli strumenti per la caseificazione conservati dopo la chiusura del caseificio, avvenuta nel 1984.
Nella sede è presente inoltre parte degli arredi della latteria, la lunga fontana in cemento con acqua corrente nella quale erano inserite le vasche colme di latte per la refrigerazione; la bilancia per la pesatura del latte; i tavoli in legno per la lavorazione del burro e la messa in forma della cagliata.
Di particolare interesse sono le due grandi caldaie in rame nelle quali il latte veniva scaldato con un sistema a vapore una innovazione non da poco per una piccola latteria.
Accanto a fasce in alluminio, mestoli, stampi, frangicagliata trovano posto anche strumenti di uso domestico o impiegati nella caseificazione di alta montagna. Si tratta di vasi e bilancieri per il trasporto del latte, di sgabelli per la mungitura, vasche in rame per la cottura del latte a fuoco vivo e altri oggetti ancora.
Il Museo custodisce inoltre l’interno archivio cartaceo della Latteria, un patrimonio importante per la ricostruzione e comprensione del funzionamento di queste istituzioni
Buona parte della collezione museale è stata inventariata da parte della Regione del Veneto nell’ambito del progetto Interreg IV I-A Transmuseum. L’inventario è consultabile al sito www.lozzodicadore.org
Acquistata dal Comune di Sappada nel 1990, la casa Puicher s’Kottlars fu abitata fino agli anni Ottanta del Novecento senza subire grandi cambiamenti. Dopo un attento restauro conservativo, l’edificio è stato aperto al pubblico come esempio di tipica casa sappadina.
L’abitazione, riferibile al secondo quarto dell’Ottocento, è a un piano ed ha annessi la stalla e il fienile. Al piano terra il corridoio si sviluppa da est a ovest mettendo in collegamento la cucina, il tinello e una camera da letto. Il piano superiore, raggiungibile con una scala interna, ospita una seconda camera da letto e un piccolo laboratorio dove venivano eseguite riparazioni e piccoli lavori.
L’edificio è percorso su tre lati da un ballatoio, sul quale trova posto anche un gabinetto a caduta libera. La copertura del tetto è interamente in scandole di larice. Nella cucina, annerita dal fumo del focolare aperto, utilizzato anche per l’affumicatura delle carni, sono esposte numerose padelle in ferro, il paiolo in rame, semplici attrezzi che testimoniano un’alimentazione piuttosto semplice.
Nel tinello, con le pareti foderate in legno, si trova la stufa in muratura e il tavolo sul quale sono esposti gli strumenti per il ricamo, il rammendo e il cucito e il confezionamento delle scarpe di stoffa. Nelle camere sono conservati suppellettili, accessori personali e alcuni capi di abbigliamento originali. Termina il percorso espositivo la vista al fienile e alla stalla con gli strumenti utilizzati nei lavori agricoli.
Accanto alla casa è coltivato un piccolo orto dove sono seminate, a titolo esemplificativo, alcune piante tra quelle coltivate un tempo in loco: lino, orzo, segale, avena, fave, patate, rape, cappucci, rafano, erba cipollina, crescione, etc. Non mancano, in un angolo, le erbe aromatiche come l’assenzio, l’origano, la menta e il dragoncello, ingrediente fondamentale per condire la cosiddetta “ricotta acida” sappadina.